La questione irrisolta dei ricercatori universitari precari di tipo A/B

Resta ancora una questione irrisolta quella dei Ricercatori Precari delle Università che prestano servizio come cosiddetti RTDA/B. Il Governo ha allo studio la riforma del reclutamento nelle università e alla carriera accademica, che interessa i ricercatori a tempo determinato. Parallelamente gli stessi ricercatori hanno dato luogo da tempo a forme di protesta e gruppi di proposta per ottenere anche loro la stabilizzazione e il diritto a svolgere il loro importante ruolo a tempo indeterminato.

 Per riassumere sinteticamente, la Legge Gelmini che aveva riformato l’Università aveva stabilito che gli enti di ricerca e le università non avrebbero più potuto assumere ricercatori con contratti a tempo indeterminato. Da allora, l’accesso alla carriera accademica era stato disciplinato con l’accesso attraverso i contratti di ricercatore a tempo determinato di tipo A e di tipo B. In sostanza, il ricercatore che ha superato il concorso per ricercatore di tipo A, alla scadenza dei 5 anni, 3+2, non ha alcuna possibilità di accesso ulteriore alla carriera, se non quello di superare un altro concorso.

 Il ricercatore che supera il concorso di Tipo B, praticamente uguale a quello di tipo A, alla scadenza dei 5 anni, qualora il dipartimento dell’Università lo disponesse, ottiene l’automatico accesso al ruolo di professore associato.

 La beffa ulteriore che colpisce i ricercatori precari delle università è anche l’esclusione dai piani di stabilizzazione previsti dalla Legge Madia. Al contrario dei loro colleghi ricercatori degli enti di ricerca, per i ricercatori universitari RTDA/B non sono previsti piani di stabilizzazione. Per questo pende un ricorso all’Alta Corte di Giustizia Europea per il riconoscimento del diritto al lavoro stabile anche per i ricercatori universitari.

 Questo meccanismo ha chiaramente prodotto nel corso degli anni una notevole discriminazione a danno dei ricercatori universitari perché nonostante 10/15 anni di carriera niente può garantirgli l’accesso ad un lavoro stabile. Anche perché i bandi per i concorsi dipendono dalla disponibilità delle risorse delle università o dei singoli dipartimenti, ma anche dall’onesta dei singoli direttori se non addirittura dei rettori come hanno dimostrato gli innumerevoli scandali balzati ai disonori delle cronache nel corso degli ultimi anni.